Proseguiamo un confronto sul tema degli OGM in agricoltura. Inserisco un capitolo del dossier informativo realizzato dalla Coalizione Italia Europa Liberi da OGM, di cui la Provincia di Pisa fa parte.
Il problema della fame nel mondo rappresenta oggi la sfida del nostro Millennio. Il progresso tecnologico con lo sviluppo della ricerca sulle biotecnologie sta tentando di dare una risposta alla soluzione del problema ma l’impiego degli Organismi geneticamente modificati per risolvere la fame nel mondo porta con sé una serie di interrogativi su cui siamo chiamati a riflettere prima di poter dare il via libera ad una prassi che rischia di rivelarsi una nuova forma di schiavitù, soprattutto per i paesi poveri ma anche per le nostre economie sviluppate.
Il Pontificio Consiglio Cor Unum pronunciandosi sulla questione della fame nel mondo così afferma “È un’illusione attendersi soluzioni preconfezionate: ci troviamo in presenza di un fenomeno legato alle scelte economiche dei dirigenti, dei responsabili, ma anche dei produttori e consumatori e che si radica profondamente nel nostro stile di vita”. E ancora “La sicurezza alimentare degli individui dipende essenzialmente dal loro potere d’acquisto, e non tanto dalla disponibilità fisica di cibo”.
Per ben valutare le relazioni esistenti e potenziali fra fame e OGM è particolarmente utile considerare quanto sottolinea la FAO quando ricorda che “l’enorme maggioranza delle persone affamate vive nelle zone rurali del mondo in via di sviluppo”. È dunque utile avviare la riflessione sulle implicazioni del ricorso alle biotecnologie sulla sicurezza alimentare proprio a partire dallo specifico del mondo rurale, in modo da meglio comprendere come si possa uscire da questo “paradosso delle campagne affamate”.
Partendo quindi dal dato che ogni anno nel mondo trenta milioni di persone muoiono di fame e centinaia di migliaia sono vittime di malattie, epidemie e carenze di ogni tipo causate dalla denutrizione, ma che le risorse alimentari del pianeta, paradossalmente, potrebbero nutrire quasi il doppio della sua popolazione, ci si può chiedere come sia possibile che tutto questo avvenga, e come fare per impedirlo.
Per rispondere alla questione e per affrontare l’argomento in modo più descrittivo ci viene incontro un buon testo di Jean Ziegler, intitolato “La fame nel mondo spiegata a mio figlio”, dal quale prenderemo alcuni estratti al fine di facilitare la comprensione del fatto che la fame nel mondo è un problema che non ha bisogno di essere affrontato con mezzi quali gli OGM e che la presentazione di quest’ultimi come possibili risolutori ha il solo scopo, da parte di aziende e multinazionali, di impadronirsi di vaste aree da coltivare per incrementare il proprio bilancio.
Il fenomeno della fame nel mondo non è affatto sconosciuto; i mezzi di informazione forniscono esaurienti statistiche e danno ampio spazio ai rapporti degli organismi internazionali che si occupano del problema ma nonostante tutto se ne parla troppo poco.
Soprattutto non si parla mai delle sue cause, delle responsabilità di istituzioni pubbliche e private, precisamente addebitabili pertanto a persone determinate che si potrebbero anche indicare, se ve ne fosse la volontà, con nome e cognome. Anzi, su queste responsabilità i grandi mezzi di informazione non solo nascondono il vero ma dicono deliberatamente il falso.
L'esempio più clamoroso a questo proposito è l'occultamento della verità intorno alla reale disponibilità di risorse alimentari mondiali.
«Oltre quindici anni fa -scrive Ziegler- la FAO (Food and Agriculture Organization) aveva già presentato un rapporto confortante: il mondo, in base all'attuale stato della capacità produttiva agricola, potrebbe nutrire senza alcun problema più di dodici miliardi di esseri umani. Nutrire significa assicurare a ogni bambino, uomo o donna della Terra una razione quotidiana di cibo che oscilla fra le 2400 e le 2700 calorie, a seconda delle necessità alimentari di ogni individuo, variabili in ragione del suo lavoro e del clima in cui vive.»
Poiché la popolazione mondiale è oggi di sei miliardi, è evidente che, come anticipato a inizio paragrafo, vi sono risorse alimentari per nutrire il doppio degli esseri umani oggi viventi. Ed evidente altresì che il sistema economico oggi dominante funziona in modo tale che, ogni anno: quasi un miliardo di persone muore di fame; altri cinque miliardi soffrono e si ammalano per carenza di cibo; mentre, nello stesso tempo, una massa di prodotti alimentari sufficiente a nutrire sei miliardi di uomini viene gettata fra i rifiuti.
Esempi di notizie in proposito, sulle quali i mezzi di informazione di tutti i tipi tacciono deliberatamente, sono, tra molti altri, descritti di seguito.
Ogni anno un quarto di tutta la raccolta cerealicola del mondo viene utilizzata per nutrire i buoi dei paesi ricchi; da notare che in questi paesi le malattie cardiovascolari per sovralimentazione sono in continuo aumento. L'agronomo René Dumont ha calcolato che la metà dei feed-lots californiani (allevamenti bovini dotati di impianti di climatizzazione e di un sistema di distribuzione di cibo ritmata) consuma annualmente più mais di quanto ne servirebbe a soddisfare le necessità nutrizionali di un paese come lo Zambia, vittima di una sotto alimentazione cronica, dove il mais è l'alimento essenziale.
«l'Unione europea impone periodicamente l'incenerimento e la distruzione con mezzi chimici di montagne di carne e migliaia di tonnellate di prodotti agricoli di ogni sorta».
Le spese per le operazioni di distruzione costano, ogni anno, somme astronomiche ai contribuenti europei.
In merito al fatto che nelle scuole dei paesi ricchi esista un vero proprio tabù a parlare del problema in esame, possiamo riportare l'opinione di Josuè de Castro, autore del celebre libro Geopolitica della fame, che già nel 1952, osservava:
«gli individui si vergognano così tanto di sapere che un gran numero dei loro simili muore a causa della mancanza di cibo che coprono questo scandalo col silenzio totale. Questa vergogna continua a essere condivisa dalla scuola, dai governi e dalla maggioranza di tutti noi».
Ma non basta. La FAO, che pure è in possesso dei dati precisi in materia, si sente costretta a diffondere un certo ottimismo, del tutto infondato, intorno alle possibilità di risolvere il problema. Se non lo facesse l'opinione pubblica dei paesi ricchi si rifiuterebbe di versare alla sede di Roma somme considerevoli, che finirebbero per essere giudicate un investimento inutile. «La menzogna è utile» conclude amaramente l'autore.
A tal proposito sappiamo che, recentemente, su invito delle Commissioni Esteri ed Agricoltura del Senato e della Camera italiani, il Direttore Generale della FAO, Jacques Diouf, è stato ascoltato sul tema dell’aumento dei prezzi alimentari e dell’impatto che esso ha sulla sicurezza alimentare mondiale affermando che l’indice FAO dei prezzi alimentari ha registrato tra il 2005 e il 2006 un aumento del 12%, del 24% nel 2007, e di circa il 50% fino a luglio 2008. E nonostante previsioni migliori per la produzione cerealicola mondiale, i prezzi resteranno ancora sostenuti per diversi anni e nei Paesi poveri la crisi alimentare continuerà. Diouf ha inoltre affermato che «prima dell’impennata dei prezzi del 2007-2008 le persone sottoalimentate erano 850 milioni, ma nel solo 2007, questo numero è aumentato di 75 milioni». La soluzione secondo la Fao è «incrementare la produzione agricola mondiale per uscire dalla crisi dei prezzi», oppure «maggiori investimenti in agricoltura».
Facile intuire che la proposta di questo organismo va in netto contrasto con quello che abbiamo appena affermato sull’attuale quantità di produzione in eccesso che consentirebbe oltremodo di sfamare il doppio degli abitanti del pianeta, senza bisogno di ricorrere all’agricoltura massiva, OGM o altre tecnologie atte ad incrementare ancora di più quantità di cibo. Silenzio e menzogne più o meno pietose consentono dunque alla coscienza degli abitanti dei paesi ricchi di soffrire di meno di fronte alla descrizione di spettacoli del tipo di quelli di cui si racconta nel già citato testo di Jean Ziegler.
«Al Cairo quasi tutti i cimiteri sono abitati. Gli immigrati del Fayum, dell'alto Egitto e del Sudan, occupano abusivamente le tombe dei borghesi. Protetti dai mausolei di marmo, montano le loro assi, spiegano i loro teloni di plastica. Si costruiscono un rifugio, cucinano i loro magri pasti sul fuoco. Donne e bambini portano il cibo dalla discarica pubblica che si trova lì nelle vicinanze: avanzi gettati tutte le mattine dagli autocarri della nettezza urbana provenienti dai quartieri eleganti del Cairo».
La stessa cosa succede, naturalmente con delle varianti, in tutte le megalopoli del terzo mondo. Ziegler ci fornisce descrizioni sintetiche, ma sufficientemente raccapriccianti, delle conseguenze di tali condizioni di vita per la salute (soprattutto dei bambini): cecità, rachitismo, sviluppo insufficiente delle capacità cerebrali, vermi intestinali e così via. Passando alle cause del problema, il saggio spiega con una messe più che abbondante di dati che:
«Principale responsabile della denutrizione e della fame sul nostro pianeta è la distribuzione ineguale delle ricchezze. Un'ineguaglianza negativamente dinamica: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Nel 1960 il 20% degli abitanti più ricchi della terra disponeva di un reddito 31 volte superiore rispetto a quello del 20% degli abitanti più poveri. Nel 1998 il reddito del 20% dei più ricchi era 83 volte superiore a quello del 20% dei più poveri. Le 225 fortune più grandi del mondo rappresentano un totale di oltre mille miliardi di dollari, ossia l'equivalente del reddito annuale del 47% più povero della popolazione mondiale, circa 2,5 miliardi di persone. Negli Stati Uniti il valore totale netto della fortuna di Bill Gates è uguale a quello dei 106 milioni di americani più poveri».
Ci possiamo soffermare, in particolare, su due delle cause per le quali si determinano, si conservano e si aggravano queste disuguaglianze.
In primo luogo sulla speculazione sui prezzi degli alimenti di prima necessità condotta da un «manipolo di banchieri» che controllano il mercato mondiale dei prodotti alimentari per mezzo della Borsa di Chicago. Conseguenza di tale speculazione sono:
- l'incapacità dei paesi poveri di acquistare generi alimentari per l'alto prezzo di vendita;
- la necessità per gli stessi paesi di abbandonare le tradizionali colture agricole per dedicarsi a monocolture che possano trovare uno sbocco commerciale;
- in definitiva, la totale dipendenza delle popolazioni che soffrono la fame dalle decisioni del predetto gruppo di banchieri che hanno come unico obbiettivo la pura e semplice massimizzazione del profitto.
In secondo luogo possiamo soffermarci sul quanto pesi nel causare la fame nel mondo l'appoggio dell'Occidente, tramite la fornitura di armi, alle guerre nei paesi in via di sviluppo; guerre nelle quali vengono dilapidati i fondi destinati agli aiuti umanitari.
Dopo aver svolto un'analisi chiara e coraggiosa sia delle caratteristiche che delle cause del problema della fame il libro di Zigler avanza anche qualche proposta circa i rimedi affermando che:
«È dunque l'attuale giungla del capitalismo selvaggio che è necessario civilizzare. L'economia mondiale è nata dalla produzione, dalla distribuzione, dal commercio e dal consumo alimentare. Affermare l'autonomia dell'economia rispetto alla fame è un'assurdità, o peggio ancora, un crimine. Non si può delegare al libero mercato la lotta contro il flagello della fame per saziare l'umanità.» «Va cambiato l'ordine omicida del mondo».
E ancora:
«Gli aiuti umanitari urgenti soffrono di una tara nascosta: raramente i donatori si interrogano sulla qualità delle strutture sociali del paese beneficiario degli aiuti. In altri termini, gli aiuti urgenti sono spesso riversati su paesi le cui strutture sociali, politiche ed economiche sono guaste, ingiuste o dominate dalla corruzione. Con tale metodo i donatori rafforzano il potere dei ricchi, cementano strutture sociali ingiuste e rispediscono i poveri alla loro miseria e a uno sfruttamento ormai secolare».
Arrivati a questo punto della lettura va da se che l’utilizzazione e la diffusione degli OGM non è una concreta e valida soluzione al problema, non tanto dal punto di vista della salute bensì per le ricadute economiche, sociali e politiche che questi comporterebbero.
Da un altro libro dello stesso autore possiamo leggere che:
«Il PAM aveva cominciato a distribuire migliaia di tonnellate di cereali, in particolare mais geneticamente modificato; 1’80 percento di queste forniture proveniva da eccedenze americane. Il presidente dello Zambia chiese che le distribuzioni fossero interrotte. Definì questo mais poisoned food, cibo avvelenato.»
La riflessione di Ziegler in merito alla decisione del presidente dello Zambia è spiegata così:
«Un presidente africano ha gli stessi diritti di un presidente francese o tedesco e può, di conseguenza, rifiutare di lasciar entrare liberamente gli OGM sul suo territorio. Nel caso dello Zambia esisteva un altro problema: negli anni in cui il raccolto è più abbondante, il paese esporta le sue eccedenze di mais nei paesi dell’Unione europea. Se il mais dello Zambia fosse geneticamente modificato, non potrebbe più essere venduto a quei paesi, dal momento che l’Unione europea proibisce l’importazione di OGM. Il presidente dello Zambia vinse la sua battaglia e il PAM dovette restituire il mais americano geneticamente modificato con mais naturale.»
«Dietro l’operazione umanitaria condotta attraverso la fornitura di mais geneticamente modificato vi era la volontà della multinazionale Monsanto di penetrare nel mercato dello Zambia. Di fatto, i contadini dello Zambia prelevano dagli aiuti umanitari la parte di mais che sarà utilizzata per la semina successiva. Se gli aiuti umanitari sono costituiti da mais geneticamente modificato, il raccolto dell’anno seguente e tutti gli altri raccolti a venire saranno costituiti da OGM.»
«Ma le sementi geneticamente modificate sono protette da un brevetto mondiale detenuto dal trust Monsanto. I contadini dello Zambia, poveri come Giobbe, sarebbero stati strangolati dalle tasse che la multinazionale avrebbe avuto il diritto di esigere ogni anno per l’utilizzo del suo brevetto. Il rifiuto opposto dal presidente dello Zambia ha quindi scongiurato una catastrofe finanziaria per i contadini.»
Il passaggio del controllo dell’agricoltura dal settore pubblico, gestito dalle politiche agricole nazionali ed internazionali, a quello privato, gestito dalle società private sopranazionali, seguendo le sole regole del profitto, comporta dei ragguardevoli rischi.
Dall’agricoltura di sussistenza discende infatti un modello di sviluppo agroalimentare fondato sulla sostenibilità, sul rispetto delle varietà biologiche e delle tradizioni e, conseguentemente, sulla sovranità alimentare delle popolazioni che praticano tali forme di agricoltura e che, attraverso di esse, scelgono cosa coltivare e quindi cosa mangiare. L’identità culturale legata ai prodotti che la “madre terra” produce è un principio riconosciuto anche dalle Nazioni Unite ed è assolutamente fondante, si potrebbe definire “sacrale”, per le popolazioni latinoamericane e del Sud-est asiatico.
Le forme di agricoltura ad elevato impiego di capitali e tecnologie hanno una forte incidenza sulla biodiversità perchè tendono a ridurre ed uniformare il numero di specie coltivate prediligendo quelle che meglio rispondono all’immissione nei mercati globali e nei cicli produttivi e di trasformazione.
Le stesse ricerche del settore privato riguardano naturalmente le colture e le caratteristiche che presentano un interesse commerciale per gli agricoltori dei Paesi industrializzati dove il mercato dei prodotti agricoli è robusto, proficuo e comunque sovvenzionato.
È invece praticamente del tutto inesistente la ricerca nei Paesi in Via di Sviluppo, che non hanno i mezzi per sviluppare in autonomia prodotti OGM tagliati sulle esigenze e sulle caratteristiche specifiche del proprio territorio.
Terra, acqua, energia, credito, assistenza tecnica, educazione primaria non sono elementi secondari rispetto al discorso della sicurezza alimentare ma rappresentano un punto di partenza decisamente più strutturato, completo e complesso, rispetto all’equazione meccanicistica che fa dire alle multinazionali “più OGM, meno fame”.
La sicurezza del possesso della terra, per un contadino che pratica agricoltura di sussistenza, è il primo passo per il riscatto sociale. Acqua ed energia sono beni di primaria importanza. Nei Paesi industrializzati l’accesso a queste due risorse è dato per scontato, ma in Africa, in numerose zone dell’America Latina e nel Sud-Est Asiatico, sicuramente non lo è. Migliorare, o meglio, garantire l’accesso alla terra, all’acqua e all’energia è il primo passo necessario da compiere per poter creare una base di partenza per la soluzione sostenibile del problema della sicurezza alimentare.
Fornire l’educazione primaria alle milioni di persone che ogni giorno lavorano nei campi aumenterebbe la possibilità per queste ultime di ottenere l’accesso a forme di microcredito che abbiamo visto confermarsi come valido strumento di sviluppo. Tutto questo porterebbe a migliorare la quantità e la qualità dei raccolti che, attraverso l’assistenza tecnica fornita dai Paesi industrializzati, consentirebbero di affrontare in maniera risolutiva il problema dell’insicurezza alimentare.
Fonti utilizzate per questo capitolo: La terra è vita. Gli obiettivi di sviluppo del millennio e il sud del mondo, Marelli S et al., 2006 La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Ziegler J, 1999 - Pratiche Editrice - www.estovest.net Dalla parte dei deboli, Il diritto all’alimentazione, Ziegler J, 2004 - Marco Tropea Editore FAO, Food and Agriculture Organization - www.fao.org
Nessun commento:
Posta un commento