Viviamo
un’epoca nella quale alla debolezza ed inconsistenza a cui si è ridotta la
politica, incapace di contrastare lo strapotere del mercato e di assumere la responsabilità di “indicare una via” per
il futuro della società e per la qualità della vita dei cittadini, si
contrappongono estemporanee ed irragionevoli proposte di riforma costituzionale
(torsione presidenzialista dell’ordinamento) o di riordino istituzionale che
nulla hanno a che vedere con i reali problemi da affrontare e cercare di
risolvere. Tra queste spicca per particolare controsenso la strategia delle
fusioni obbligatorie dei “piccoli comuni” (quelli con meno di 5.000 abitanti),
definita nelle norme straordinarie di contenimento della spesa pubblica dei
governi degli ultimi due anni e recepita e rafforzata, per la Toscana, nella
legge regionale 68 del 2011.
Nelle
prossime settimane e mesi ci sarà l’opportunità di approfondire ogni singolo
aspetto della questione dal momento che i cittadini di un primo nucleo dei
comuni interessati saranno chiamati ad esprimere un orientamento “non
vincolante” nei referendum consultivi. In questo momento vorrei soffermarmi
unicamente sulla questione politica del ruolo e del potenziale per gli
interessi nazionali che questi territori e le loro entità istituzionali
possiedono ed esprimono.
I piccoli comuni non costano praticamente
nulla, né per il loro funzionamento né per i loro amministratori ma rappresentano
la storia, l'identità, la coesione, un vero volano di economia reale per i loro
territori ed i cittadini, il presidio di uno Stato altrimenti assente o
lontano, l'unico strumento per salvaguardare il territorio, la sua sicurezza e
garantire diritti basilari alle popolazioni. L'idea delle fusioni forzate, del
superamento di questi comuni in ossequio al comandamento liberista del
"meno stato" o del "più competitività e modernità" è
un'assurdità e rappresenta l'avvio di nuovi processi di inurbamento, con
conseguenze distruttive del tessuto sociale e degli equilibri ambientali. Tornerebbero
ad innescarsi, come conseguenze, i fenomeni di rarefazione e scomparsa dei
servizi basilari, si riattiverebbero le dinamiche di spopolamento ed abbandono
conosciute fino agli anni ’70 e tanto faticosamente invertite.
I piccoli comuni italiani invece sono una
risorsa preziosa, sebbene troppo spesso ignorata, soprattutto dalla politica
“che conta”. Fino a qualche decennio fa non avevano un ruolo, appartenevano a
una provincia profonda che se voleva evadere dal suo isolamento - dorato o
subìto - poteva solo guardare alla città. Oggi no. Internet ha reso ogni
piccolo nucleo abitato un centro del mondo, diversificato secondo ogni
prospettiva e integrato in una rete globale di affinità elettive.
E vivere in piccoli centri è oggi un privilegio che spesso permette di fuggire ai problemi delle zone urbane sovraffollate e sovrainquinate. Ma c’è di più. Di fronte alla crisi ambientale che sta emergendo, i piccoli comuni sono più reattivi e pronti a cambiare registro, a diventare luoghi di sperimentazione e di emulazione di buone pratiche.
In primo luogo c’è ancora spazio fisico, agricoltura e suolo non cementificato per intenderci, per mettere in pratica la filiera corta, la coltivazione delle biomasse, l’uso delle energie rinnovabili. Ma poi c’è il tessuto sociale giusto che permette il dialogo con i cittadini e l’attuazione in tempi brevi di nuovi stili di vita. Ci sono tutte le condizioni, e spesso già la realtà, per un turismo lento, sostenibile, di qualità.
E vivere in piccoli centri è oggi un privilegio che spesso permette di fuggire ai problemi delle zone urbane sovraffollate e sovrainquinate. Ma c’è di più. Di fronte alla crisi ambientale che sta emergendo, i piccoli comuni sono più reattivi e pronti a cambiare registro, a diventare luoghi di sperimentazione e di emulazione di buone pratiche.
In primo luogo c’è ancora spazio fisico, agricoltura e suolo non cementificato per intenderci, per mettere in pratica la filiera corta, la coltivazione delle biomasse, l’uso delle energie rinnovabili. Ma poi c’è il tessuto sociale giusto che permette il dialogo con i cittadini e l’attuazione in tempi brevi di nuovi stili di vita. Ci sono tutte le condizioni, e spesso già la realtà, per un turismo lento, sostenibile, di qualità.
I Comuni sotto i 5 mila abitanti nel
nostro paese sono 5.698, il 72% del totale (8.100 circa) – per rendersi conto:
in Francia i Comuni sono 36.000-. Ospitano oltre 10 milioni di persone.
Producono il 93% dei prodotti a marchio certificato (Dop e Igp) e il 79% dei
vini più pregiati. Contano quasi un milione di imprese e il 16% dei musei,
monumenti e aree archeologiche di proprietà statale. Inoltre 5.687 piccoli
Comuni hanno almeno una fonte di rinnovabili installata sul proprio territorio,
274 producono più energia pulita di quella necessaria ai consumi delle famiglie
che li abitano. E in 895 piccoli Comuni la percentuale di raccolta
differenziata supera il 60%, con picchi oltre l'80%.
Su
questo aspetto alla Camera dei Deputati è appena stata presentata una proposta
di legge (Realacci ed altri) per tutelarli, sostenerli e finanziarli. La
proposta di legge affronta nella giusta ottica il tema dei piccoli comuni, bisognerebbe
capire come recuperare coerenza rispetto all'obbligo di fusione dei comuni con
meno di 5.000 abitanti sancito, ad esempio, dalla legge regionale della Toscana!
Proviamo
a ragionare di questi temi prima di “buttar via il bambino…” o di far emergere
solo le dispute di campanile?!
Giacomo
Sanavio
Assessore
provinciale allo sviluppo rurale ed alla programmazione territoriale
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