giovedì 23 luglio 2015

Un Piano strategico nazionale dedicato all’agricoltura biologica

Si è ufficialmente aperta la discussione sulla bozza di documento del Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) per l’elaborazione di un piano strategico di medio periodo che, partendo dall’analisi dei punti di forza e di debolezza del settore, agisca per il rilancio dell’agricoltura biologica italiana. Nonostante i finanziamenti destinati all’agricoltura biologica il settore infatti non riesce a crescere in termini di produzione in modo tale da rispondere ad una domanda crescente da parte dei consumatori di alimenti bio.
I dati del Ministero fanno emergere come nella programmazione 2007-2013 le risorse pubbliche investite a favore dell’agricoltura e della zootecnia biologica nell’ambito della misura 214 “pagamenti agroambientali” abbiano raggiunto i 1.396 milioni di Euro, incidendo per quasi il 24% sulla spesa pubblica totale sostenuta nell’ambito di tutti i Psr (Piani di sviluppo rurale delle Regioni). Nonostante ciò la superficie agricola condotta a biologico è ferma intorno a un milione e 100.000 ettari e le imprese agricole biologiche non superano le 45.969 unità.
La conseguenza è la crescente incidenza delle importazioni bio. Infatti, l’aumento ormai consolidato della domanda interna non soddisfatto dalla capacità di crescita dell’offerta può contribuire a spiegare gli incrementi, a ritmi molto sostenuti, delle importazioni di prodotto biologico dai paesi terzi con un tasso di crescita, che, nel 2013, si è attestato sul 21% rispetto all’anno precedente. Dal confronto tra produzioni nazionali e importazioni emerge, tra i dati più significativi, una crisi, a livello nazionale, della produzione cerealicola biologica e delle colture industriali (in particolare, le proteaginose) quest’ultime importate in larga parte per la produzione di mangimi. Non risulta difficile comprendere il danno, in termini di spreco di opportunità, derivante da una simile situazione. Come pure gli impatti in termini ambientali (emissioni di CO2 in primis) del trasferimento delle derrate.
Una delle principali criticità del settore è, sicuramente, la mancanza di investimenti nel settore della formazione che consentirebbe ad alcune imprese convenzionali di poter adottare il metodo di produzione biologico ed impedire a quelle che vi sono già entrate di uscire per mancanza di un’adeguata preparazione tecnica,  l’eccesso di burocrazia, la difficoltà di accesso al mercato da parte dei produttori biologici, che in meno del 50% dei casi richiedono la certificazione per vendere il prodotto come biologico.
La scarsa capacità di completare la filiera e di aggregarsi orizzontalmente e verticalmente, il riconoscimento di prezzi alla produzione talvolta poco remunerativi, anche a causa della concorrenza non sempre equa sui mercati internazionali, sono certamente le principali cause di tali difficoltà. Queste condizioni non consentono a quote rilevanti delle produzioni biologiche italiane di essere valorizzate, anche in termini di prezzo, nello specifico mercato del biologico, per cui sono commercializzate nel mercato delle produzioni convenzionali. Con un evidente nettissimo controsenso e perdita di valore, non solo commerciale.
Sul fronte degli aiuti previsti dai Psr, è da rilevarsi un’eccessiva differenziazione dei livelli dei pagamenti e delle condizioni di ammissibilità, determinando una distorsione della concorrenza soprattutto tra aziende localizzate in regioni diverse ma che operano in condizioni pedo-climatiche, tecnico-economiche e di mercato simili. Da questo punto di vista, lo strumento del Piano Strategico Nazionale avrebbe potuto/dovuto compiere qualche “sforzo” aggiuntivo.
A tutto questo si sommano questioni di carattere logistico, organizzativo della filiera (difficoltà a reperire sementi e mangimi biologici, carenze infrastrutturali e logistiche, difficoltà di comunicazione lungo la filiera, che genera scarsa trasparenza e ostacoli a un accorciamento della filiera stessa); pochi investimenti verso la ricerca e il  trasferimento delle innovazioni (assistenza tecnica insufficiente o assente, legame debole tra ricerca e mondo operativo che penalizza gli operatori soprattutto in materia di difesa sanitaria di piante e animali, difficoltà di trasferimento delle innovazioni, adattamento ai cambiamenti climatici);  gli oneri ed i costi connessi ai controlli e alle certificazioni.
Il Mipaaf, pertanto, al fine di poter elaborare un piano strategico per il rilancio del settore nei prossimi anni ha insediato quattro gruppi di lavoro ai quali partecipano i componenti del tavolo tecnico agricoltura biologica sui seguenti temi: politiche di sviluppo, semplificazione, controlli e vigilanza, innovazione e ricerca. I gruppi di lavoro dovranno integrare la bozza di piano strategico al fine di individuare le azioni da realizzare nei prossimi anni. Il piano deve essere pronto per il mese di settembre e sarà, probabilmente, presentato in occasione del Sana di Bologna.

L’auspicio che mi sento di formulare è che la voce da ascoltare sia quella degli operatori biologici, primi tra tutti gli imprenditori agricoli (o se preferite, come io preferisco, i contadini). In una modalità nuova, diversa, partecipativa. Che sappia unire il riconoscimento del ruolo delle rappresentanze alla desiderio (necessità) dei contadini e dei cittadini di auto-rappresentarsi.
E’ di fondamentale importanza guidare il settore agricolo nazionale verso il “cambio di modello”. Scegliendo di privilegiare davvero l’agricoltura biologica e le agricolture dei territori. Smettendola di finanziare (più o meno direttamente) con le risorse della Pac (e dunque, anche dei Psr) gli speculatori della terra ed i produttori di mezzi meccanici e agenti chimici.
Ricreare fertilità dei suoli e difendere la biodiversità, sono una priorità generale per la vita di tutti. Salvaguardare saperi tradizionali, garantire la manutenzione dei territori, risparmiare acqua e depurare quella utilizzata, sostenere i giovani di cui il settore ha estremo bisogno (ma quelli che fanno davvero gli agricoltori, non i “figli di”), facilitarne l’accesso alla terra. Ricostruire e difendere i sistemi alimentari. Sono le vere priorità.
C’è bisogno, anche e soprattutto in questo settore, di una chiara scelta alternativa. A quel punto, gli spazi di ampliamento della dimensione delle coltivazioni biologiche e dell’organizzazione delle filiere ad esse riferite, diverranno sicuramente maggiori ed il settore darà il proprio contributo alla crescita economica del Paese. E i dati sul valore aggiunto avranno un risvolto etico, sociale ed ambientale importante.
Se non dovesse esser così, mi chiederei quale significato attribuire al termine “strategico”.
Buon lavoro!

Giacomo Sanavio

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