Queste sono giornate importanti, in particolare il 2 giugno è il giorno per ricordare la nascita della nostra Repubblica. Per conoscere e ricordare il percorso di scrittura del patto di convivenza civile della nostra comunità nazionale. La Costituzione.
Il modo più efficace per ricordare il valore di alcune date storiche non è quello della celebrazione rituale, anzi questo è il modo migliore per dimenticare, come risulta drammaticamente dal fatto che quasi la maggioranza degli italiani non conosce più neanche il significato di queste festività.
Anziché celebrare ritualmente e formalmente le date della nostra storia, come il 25 aprile o il 2 giugno, bisognerebbe, soprattutto per i più giovani, verificare quanto di quei valori che ne stanno alla base siano oggi attuali, e quanto di quei valori sia stato cancellato nei fatti da una sorta di “restaurazione” culturale dei decenni scorsi. Il 25 aprile e il 2 giugno festeggiamo la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e la proclamazione della Repubblica, festeggiamo la Costituzione antifascista e repubblicana. Ma la Costituzione non bisogna solo possederla, bisogna leggerla, conoscerla e chiedersi se la stiamo applicando o la stiamo calpestando.
Consentitemi di ripercorrerne in parte la storia ed i contenuti.
Sessantun’anni fa la scelta della Repubblica è stata una scelta di libertà, resa possibile dal sacrificio dei tanti caduti e coronata dal varo di una Costituzione tra le più democratiche e moderne del mondo, che alimenta la coscienza della comune appartenenza e promuove il successo delle aspirazioni al miglioramento, al progresso civile e culturale, alla giustizia sociale.
E’ stata la costruzione di “una ragione per lo stare insieme”. Fondata su qualcosa che riguardasse la nostra storia, che in sostanza facesse leva sulle culture profonde che hanno riformato sul serio l’Italia, perché l’hanno fatta. Perché hanno costruito lo Stato repubblicano sulla base di una Costituzione che fu scritta non dai sedicenti “liberal”, ma dai partiti popolari: PCI, DC, PSI. E perciò democratica, perché non calata dall’alto, e non concepita dalle classi dirigenti borghesi, ma dalle forze fino allora escluse dallo Stato. Questa è stata la più grande operazione riformista che l’Italia moderna abbia conosciuto.
Quello a cui dettero vita i “padri costituenti” è il più grande e avanzato compromesso storico che l’Italia abbia mai conosciuto. I padri infatti riassunsero in una stessa Carta le istanze antifasciste presenti all’epoca come eredità della Resistenza e le sensibilità di tutte le componenti culturali e politiche presenti nella neonata Repubblica. E’ quello che passa alla storia come “compromesso costituzionale”, che permetterà alla Costituzione di avere un impianto fortemente antiautoritario riguardo il potere statale, largo spazio dedicato ai diritti economici e sociali del cittadino e la sicurezza di una loro effettiva garanzia. Compromesso che è particolarmente evidente a ben guardare i principi fondamentali delle Carta, inviolabili e non revisionabili, che si articolano secondo il principio personalista – evidente segno delle spinte di matrice cattolica, e che accoglie la tradizione liberale - e quello invece pluralista: se da una parte infatti i diritti inviolabili ed individuali dell’uomo devono essere tutelati, dall’altra si garantisce la libertà di associazione, i diritti sindacali, e l’importanza del lavoro, sul quale addirittura la Repubblica italiana, come Carta vuole, è fondata. Non solo diritto – dovere dunque, ma vero e proprio collante sociale, valore aggiunto necessario perché ognuno dia il suo contributo nella grande famiglia che la Costituzione repubblicana disegna. Un compromesso storico fortemente voluto dai padri costituenti al cui lavoro dobbiamo una delle costituzioni più esaustive che l’Europa, ad oggi, conosca. Come comune denominatore infine il principio democratico sul quale tutta la Carta si fonda, segno evidente di un epoca martoriata dal conflitto e vittima della dittatura, che per sorgere a nuova vita dopo essere uscita dalla grande guerra, fissa in modo chiaro ed inequivocabile l’assetto democratico della neonata Repubblica. Principio di maggioranza nelle decisioni quindi, ma anche tutela delle minoranze; forte preponderanza data agli organi elettivi e rappresentativi, processi decisionali basati sulla trasparenza, infine la possibilità per il cittadino di intervenire in maniera diretta, sia attraverso la delega dei propri rappresentanti, comunque sottoposti a revisione popolare, che con lo strumento del referendum e delle leggi di iniziativa popolare. Quello che nasce dalla Costituzione del ’48 è quindi uno Stato fortemente democratico, che tutela prima di ogni altra cosa i suoi cittadini, e che sottopone gli organi decisionali al controllo popolare, non tralasciando una netta divisione fra l’ambito politico – decisionale e quello giudiziale, cui ognuno deve essere sottoposto. Per definizione, la Costituzione italiana è scritta, lunga e rigida. Ciò significa che non è possibile modificarne i contenuti se non attraverso un procedimento parlamentare aggravato, non essendo sufficiente la normale maggioranza, e che ogni disposizione in contrasto con la Costituzione viene rimossa dinanzi alla Corte Costituzionale, organo che si occupa proprio della tutela della Carta. Sino ad oggi, come ha ricordato lo stesso Presidente Napolitano, la Costituzione è stata comunque modificata già 38 volte, e gli ultimi tentativi di mettere mano ai principi stabiliti dai padri sono recenti, e risalgono al giugno 2006, quando gli italiani sono stati chiamati al referendum – fallito - sulla cosiddetta Devolution. Nelle disposizioni dell’Assemblea Costituente dunque nulla fu lasciato al caso, e la stessa rigidità della Costituzione che ne uscì dimostra la volontà dei padri di rendere stabile e fondamentalmente inattaccabile l’assetto repubblicano del paese. Al tavolo dei lavori, d’altra parte, ci sono grandi nomi che passeranno alla storia e che renderanno grande il paese.
Anche per questo la Costituzione italiana ha garantito al paese quei principi di libertà e democrazia che a distanza di sessant’anni rappresentano ancora i principali punti di riferimento del vivere civile della nostra nazione. I principi della nostra Carta Costituzionale mostrano l’Italia com’é e come dovrebbe essere.
Uno dei tratti essenziali della Costituzione della Repubblica italiana, che la qualifica nella sua attualità e modernità, è la sua natura dinamica, la sua profonda consapevolezza della dialettica “fatto-diritto” e, quindi, su un piano più generale, della storia.
E’ un tratto che la caratterizza non solo nei diritti che attribuisce e negli istituti che dispone ma anche nella sua struttura.
Quanto a diritti e istituti, basta pensare a quando essa attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona (art. 3), o quando riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo tale diritto (art. 4); e, ancora, là dove, stabilendo che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1), istituisce un parallelo tra cittadinanza (diritto) e svolgimento di un’attività (fatto) che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4) o dove, per esplicito e pacifico riconoscimento della stessa Corte costituzionale, viene disposto un fondamento costituzionale a tutti i nuovi diritti che vengano sentiti come inviolabili dal corpo sociale (art. 2).
Quanto alla struttura, basta pensare al costante impiego della riserva di legge, frequentissimo nella Parte I, Diritti e doveri dei cittadini, ma non irrilevante anche nella Parte II, Ordinamento della Repubblica, che non solo riafferma il principio di legalità (diritto) ma affida al legislatore avveduto di mantenere l’ordinamento al passo con la realtà (fatto).
Particolarmente esplicita è tale consapevolezza in sede di Parte II, Ordinamento della Repubblica, Tit. VI, Garanzie costituzionali, Sez. II, Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali, là dove la Costituzione prevede la possibilità di rivedere sé stessa attraverso una procedura complessa (diritto) volta a consentire al potere costituito di rendersi in parte potere costituente allorché si renda necessario adeguare la norma fondamentale al mutato contesto storico (fatto). Ma solo in parte perché la forma repubblicana, ossia lo Stato democratico fondato sulla centralità della persona umana e del suo sviluppo e nato dalla lotta di liberazione dallo straniero occupante e dalla dittatura, è irrivedibile (art. 139 e limiti assoluti alla revisione), cioè non può e non deve essere modificata pena la rottura della legalità repubblicana e la fine dell’ordinamento democratico.
Ogni revisione della Costituzione andrebbe, quindi, fondata su altrettanta consapevolezza, che tuttavia non sembra sempre essere stata compresa e condivisa da governanti e governati nel corso della storia della Repubblica.
Nel linguaggio di troppi politici sono assenti i riferimenti agli articoli della Costituzione. Nelle parole di altri si rispecchiano una regressione culturale, una corsa alle risposte congiunturali, più che una matura riflessione sui principi che devono guidare l’azione politica. Ci si allontana dal passato senza la lungimiranza di chi sa cogliere il futuro.
Mi rivolgo a questo proposito una domanda retorica: vi è forse l’effetto di un inesorabile invecchiamento della Costituzione? L’intoccabilità della prima parte deve cedere ai colpi inflitti dal mutare dei tempi? Io non credo!
Ribadito che siamo di fronte ad un tema distinto dalla buona “manutenzione” della seconda parte, che disciplina i meccanismi istituzionali, proviamo a saggiare la tenuta dei principi costituzionali considerando proprio questioni recenti, per vedere se non sia proprio lì la bussola democratica, liberamente e concordemente definita, alla quale tutti devono riferirsi.
Voglio cogliere un esempio dall’attualità più dura, dalle morti sul lavoro. L’art. 41 della Costituzione è chiarissimo: l’iniziativa economica privata è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Questa sarebbe una incrostazione da eliminare perché in contrasto con la pura logica di mercato? Qualcuno lo ha proposto, ma spero che la violenza della realtà lo abbia fatto rinsavire. La Carta ci dice che proprio da lì bisogna ripartire, da una sicurezza inscindibile dal rispetto della libertà e della dignità, dalla considerazione del salario non solo come ciò che consente di “acquistare” un lavoro sempre più ridotto a merce, ma come il mezzo che deve garantire al lavoratore ed alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36). Questione ineludibile di fronte ad un processo produttivo che si impadronisce sempre più profondamente della persona stessa del lavoratore. La trama costituzionale ci parla così di una “riserva di umanità” che non può essere scalfita, ci proietta ben al di là della condizione del lavoratore, mette in discussione un riduzionismo economicistico che vorrebbe l’intero mondo ridotto solo ad un grande mercato.
Vi è, dunque, la necessità di una riscoperta obbligata di una Costituzione tutt’altro che invecchiata e imbalsamata, che regge benissimo il confronto con l’Europa, che rimane l’unica base democratica per una discussione sui valori sottratta alle contingenze ed alle ideologie. Questo richiede l’apertura di una nuova fase di “attuazione costituzionale”.
Con la Costituzione l’Italia si pone nel consesso mondiale dei Paesi come una Nazione che vuole essere in pace con tutti i suoi vicini, in un'Europa unita, in un mondo che esalta la concordia tra i cittadini, il rispetto reciproco tra tutte le persone, tra le forze politiche e tra le parti sociali, per il bene e il progresso di tutti.
E’ con orgoglio e ancora con commozione che oggi celebriamo il sessantesimo anniversario della sua promulgazione; lo facciamo con rinnovata passione e con la fermezza e la determinazione necessaria a difendere e riaffermare quei principi e quei valori. Ma dobbiamo anche farlo concretamente, ogni giorno, nelle scelte di governo dei nostri territori e nella nostra vita quotidiana.
Consentitemi di concludere con la citazione di una frase di Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti:
“La Costituzione è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune. E’ la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo.”
Giacomo Sanavio
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